SUI MURI E SULLA NATURA

 

Nel suo “Trattato della pittura” Leonardo da Vinci, tra i molti consigli rivolti ai giovani pittori, suggerisce di allenare la fantasia attraverso l’osservazione delle macchie di umido e di muffa sui muri vecchi. A detta del geniale maestro, la mente lasciata libera di immaginare  può leggere sui muri consunti dal tempo  infiniti soggetti di pura invenzione come volti, grovigli di battaglie, mostri, diavoli ma anche soggetti legati al vero come pianure, montagne, valli  da riprodurre poi in pittura.

Davanti ai lavori di Maria Elisa Borsoi non ho potuto non pensare alle celebri parole di Leonardo che alludono a quel fenomeno istintivo chiamato pareidolia che consiste nel vedere forme ed oggetti identificabili nelle immagini disordinate ed amorfe che ci circondano ( ad esempio nelle nuvole, nelle venature del marmo, del legno o, appunto, sui muri). Si pensa che tale tendenza sia dovuta ad un fattore evoluzionistico e cioè alla necessità dell’uomo preistorico di scorgere un pericolo, ad esempio un predatore mimetizzato, e correre così ai ripari. Diciamo tranquillamente che ogni persona possiede questa facoltà istintiva che applica quotidianamente e in maniera automatica.

Certo è che di fronte alle opere della Borsoi la medesima, atavica, attitudine risulta estremamente facilitata poiché molteplici sono gli spunti interpretativi che l’occhio dell’obiettivo ci presenta. Si tratta di un viaggio tra i muri  della sua città e non solo, un viaggio urbano che assurge ad una dimensione globale e globalizzante, che dal particolare porta all’universale, ad una visione destinata a cambiare al mutare dello spettatore. Sono immagini dominate da materiali stratificati, da segni e grafie che il tempo ha depositato e scalfito. Le superfici sconnesse, deturpate e aggredite offrono un potenziale visivo straordinario: dall’informe apparentemente caotico e disordinato sorgono strutture riconoscibili e anche familiari dove il grande diventa piccolo e viceversa. Una vertigine associativa e compositiva segue la duplice azione di mente e occhio alla ricerca di sempre nuovi orizzonti di senso possibili e percorribili. C’è da perdersi nell’immensità dell’indaco striato, dei rosa e degli aranci infuocati simili alla luce del tramonto o nei bianchi sporchi di certe superfici intensamente e quasi magicamente dilatate.

Lo sguardo è continuamente interrotto dalle asperità delle texture irregolari che invitano a percezioni emotive tattiche e sensoriali data  la forte combinazioni di elementi organici e artificiali a cui si aggiunge, come gradiente prospettico, il tocco minimo di un punto di rosso cinabro. L’abilità dell’artista sta proprio nel saper guardare dentro e oltre la materia al fine di creare palcoscenici virtuali e nello stesso tempo scovare brani di vita eccezionali che arrivano persino a commuovere.

Guidata da un istinto indagatore e percettivo non comune, Maria Elisa Borsoi sa varcare la soglia del visibile per “dare forma” all’invisibile, verso una epifania di sembianze inedite e sconosciute, simulacri di uno spirito perennemente teso e proiettato alla ricerca di nuove identità. Ed è proprio questa costante reversibilità la cifra stilistica più alta di una serie di lavori che comprende da un lato il tema astratto dei muri di cui abbiamo parlato e dall’altro la forma conclamata  di una natura in espansione. Nella fattispecie, quella inerente specchi d’acqua interessati dal disgelo, da blocchi di ghiaccio che, visti dall’alto, generano una stimolante visione planetaria e incommensurabile, giocata su un compendio di riflessi e tonalità a dir poco sorprendenti, talvolta incredibilmente vicini ai trapassi cromatici del Monet dei “disgeli della Senna”.

Che si misuri con lo spazio cittadino del muro limitato e pervaso di mappe segniche e incise o con le latitudini sconfinate di paesaggi ancora selvaggi, non muta l’urgenza creativa di Maria Elisa Borsoi, sempre volta  a rintracciare immagini singolari e raffinate, segni tangibili di un occhio attento a cogliere la bellezza della verità insita nella materia e nel mondo, spesso sepolta dall’indifferenza quotidiana. Quello della Borsoi è un gesto profondamente sentito che celebra la qualità di un presente che se appare senza tempo, contiene la squisita fedeltà e oggettività al linguaggio fotografico autentico e sincero.

 

LORENA GAVA

 

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La rappresentazione artistica conserva la medesima logica della realtà; nel tradizionale ritratto o nel paesaggio permangono la struttura e il contenuto dell’esistente. L’opera astratta presenta invece qualcosa che non si può esprimere completamente a parole, è un’immagine che mostra se stessa, è un’Icona, il cui senso profondo non può dirsi altrimenti. Essa ha a che fare con l’irrappresentabile, con ciò che resta sempre altro e che conserva in sé il silenzio e la bellezza della ricerca poetica. Icone sono le opere di Maria Elisa Borsoi. I suoi scatti fotografici, lungi dal rappresentare materia e cose come l’intonaco, le polveri, il ghiaccio, … s’interrogano sui segni lasciati dal fluire del Tempo, sulle impronte silenti del sedimentarsi lento degli eventi. L’artista coglie le sovrapposizioni e le velature, i calchi, le sfumature lasciate dai venti, dalle intemperie, dai gesti umani. È la tavolozza pre-scelta  o meglio pre-vista, a caratterizzare l’ultima serie di lavori dall’artista: i grigi chiarissimi, i celesti ariosi, le tinte sbiadite delle sabbie raccontano ciò che sfugge alla nostra conoscenza e alla rappresentazione. È proprio della natura di queste immagini, infatti, il loro presentarsi sempre chiuse e insieme aperte, opache e trasparenti, vicine e insieme lontane: nell’offrirsi allo sguardo esse catturano il nostro pensiero che inciampa nella bellezza armoniosa della composizione di masse, luci e colori, e torna al di qua del visibile rappresentato, alle condizioni stesse dell’interrogazione dello sguardo. È questo non-sapere, che l’immagine manifesta, a sedurci e a trattenerci perché non si tratta di una condizione privativa, di una mancanza, ma piuttosto una condizione positiva, come positivo è il gioco dell’enigma. Si tratta ancora una volta dell’esigenza di qualcosa che costituisce l’altro del visibile, il suo aldilà che va pensato come specchio, come luce radente che mostra senza mai rivelare del tutto. Leggere le opere fotografiche di Maria Elisa Borsoi è partecipare ad un’avventura metafisica dentro un luogo vivente che continuamente si esprime nel divenire, nel farsi di nuovo visione poetica.

 

ALESSANDRA SANTIN

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